Martedì 12 gennaio presso la sala del nostro oratorio si è svolto l’incontro mensile, organizzato dalla Pastorale Giovanile Diocesana, in forma di Lectio Divina, tenuto dal biblista padre Ernesto Della Corte, alla presenza del nostro Vescovo. La lectio ha avuto per tema la preghiera; i numerosi giovani e cresimandi della forania di Isernia presenti, sono stati stimolati nella riflessione su tre parabole tratte dal Vangelo di Luca accomunate da questo tema: l’amico importuno (11, 5-9), il giudice e la vedova (18, 1-8) e il fariseo e il pubblicano al tempio (18, 9-14).
Padre Ernesto ha saputo scuotere le coscienze dei presenti parlando della preghiera come espressione del volto misericordioso di Dio che si irradia sulla vita umana. Dio non è certamente iniquo come il giudice nei confronti della vedova che insistentemente domanda giustizia, ma troviamo un tratto in comune che illustra l’inestimabile valore della preghiera: entrambi, infatti, rivedono il loro modo di agire con la vedova e con gli eletti per le suppliche ricevute. Spesso si ha di Dio la cognizione di chi è imperturbabile o non cambia il Suo disegno per gli esseri umani, ma la storia della salvezza ci trasmette un volto di verso di Dio: un Dio che si lascia interrogare dalle situazioni umane e ascolta la preghiera degli eletti, i poveri e i deboli, che lo supplicano. Ci siamo interrogati poi, sul mancato esaudimento della preghiera da parte di Dio, come se non fosse ascoltata. Gesù raccontando la parabola dell’amico importuno esorta tutti a chiedere, a cercare e bussare perché Dio è capace di dare, far trovare e aprire. Come un padre è capace di dare a un figlio un pesce e non una serpe, così Dio è disposto a donare, a quanti lo chiedono, lo Spirito Santo che è il principale dono da chiedere nella preghiera, poiché soltanto lo spirito permettere di distinguere un pesce da una serpe.
Infine nella parabola del fariseo e del pubblicano al tempio abbiamo sperimentato la contestazione dell’appropriazione indebita della giustizia che porta a disprezzare gli altri. I due personaggi si rivolgono allo stesso Dio ma hanno un’idea e un atteggiamento opposti. Il fariseo prega stando diritto, mentre il pubblicano non ha il coraggio di sollevare gli occhi al cielo e si percuote il petto in segno di pentimento. Opposte sono anche le richieste dei due: il fariseo ringrazia Dio perché non è come gli altri uomini che sono ladri, ingiusti e adulteri mentre il pubblicano si limita a chiedere perdono per i suoi peccati. La sua preghiera dice l’essenziale in poche parole: riconosce la colpa e chiede l’espiazione in vista del perdono.
Dopo la meditazione che è stata tenuta con la partecipazione attiva dei ragazzi più piccoli, ci siamo soffermati in preghiera silenziosa davanti al Santissimo Sacramento. Durante l’adorazione sono state proclamate le bellissime parole di san Giovanni Crisostomo sulla preghiera: “La preghiera, o dialogo con Dio, è un bene sommo. È, infatti, una comunione intima con Dio. Come gli occhi del corpo vedendo la luce ne sono rischiarati, così anche l’anima che è tesa verso Dio viene illuminata dalla luce ineffabile della preghiera. Deve essere, però, una preghiera non fatta per abitudine, ma che proceda dal cuore. Non deve essere circoscritta a determinati tempi od ore, ma fiorire continuamente, notte e giorno. La preghiera è luce dell’anima, vera conoscenza di Dio, mediatrice tra Dio e l’uomo. L’anima, elevata per mezzo suo in alto fino al cielo, abbraccia il Signore con amplessi ineffabili. Come il bambino, che piangendo grida alla madre, l’anima cerca ardentemente il latte divino, brama che i propri desideri vengano esauditi e riceve doni superiori ad ogni essere visibile.” (Omelia 6 sulla preghiera).
La lectio si è conclusa con un gesto eloquente: il bacio e l’imposizione sul capo del libro della Parola di Dio da parte di una rappresentanza di giovani e la benedizione con la Parola da parte del Vescovo che ci ha voluto lasciare ricordandoci uno dei gesti più antichi presenti nel rito di ordinazione di un Vescovo, cioè l’imposizione del libro dei Vangeli sul capo dell’ordinando, segno della Parola che prende possesso dell’eletto chiamato a farla propria e ad annunciarla agli altri, compito non solo del Vescovo ma di tutti noi battezzati.
A cura di: Antonio Battista – Jacopo Incollingo