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V Domenica di Pasqua – Commento

V Domenica di PasquaIn questa quinta Domenica di Pasqua la Parola di Dio ci conduce in una vigna per contemplare la bellezza dei grappoli d’uva che timidamente affiorano.

La vigna – nell’Antico Testamento – simboleggiava la relazione tra Dio e il suo popolo Israele, sovente tempestosa per i ripetuti tradimenti del popolo ai quali il Signore rispondeva con la sua fedeltà amorosa. Per ricordare al popolo che la sua storia si svolgeva intrecciata al suo Dio, una vite si attorcigliava attorno alle colonne del Tempio.

Gesù riprende questa immagine, facendone una nuova lettura.

Adesso è Lui la vite, non Jahvè e i tralci non sono più il popolo di Israele, ma i suoi discepoli.

Dio-Padre è il vignaiolo che ha inviato il Figlio a questo mondo per ricondurlo all’unità con il suo Creatore e con i fratelli, unità fondata sull’amore. Un amore che non è imposizione, ma frutto di una scelta. Con la frase “Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi” Gesù segnala una possibilità: si può scegliere di rimanere, ma si può scegliere anche il contrario. A noi tocca fare la nostra scelta illuminati anche dalla seconda parte della proposta: chi rimane in me porta molto frutto.

Due sono le parole chiave che ci guidano alla decisione: “rimanere in” e “portare frutto”.

“Rimanere in” significa essere in Cristo, “credere” nella sua presenza in noi e accanto a noi, sempre; vivere in Lui, di Lui e per Lui; avere in Lui la nostra dimora stabile. Rimanete in me ed io in voi: con una immanenza reciproca che alimenta l’Amore.

Questa è la nostra fede, la fede dei suoi discepoli, la fede che si diffonde perché è contagiosa, se pura e profonda. Solo se rimane unito vitalmente a Cristo, il cristiano produrrà i frutti propri di un discepolo di Cristo. Se il tralcio della vite viene staccato dal ceppo non porterà più frutto.

“Portare frutto” è la seconda parola chiave che “è il nome nuovo della morale evangelica, non sacrificio ma fecondità, non ubbidienza ma espansione, non rinuncia ma centuplo. Non di penitenze c’è bisogno, ma di testimonianza di fede, frutto con dentro un buon sapore di vita per dissetare l’arsura che ci circonda.”

Ma come è possibile rimanere in Cristo, essere in comunione vitale con Lui? Ce lo rivela lo stesso Gesù: ascoltare la Sua Parola e conservarla nel cuore, “ruminarla” per comprenderla al momento opportuno, come Maria, “che tutto serbava nel suo cuore”. Parlare con il Signore, dialogare con Lui ogni giorno “se non hai nulla da dirmi, parlami lo stesso anche solo per dirmi che non hai nulla da dire” (San Basilio). Attraverso questo dialogo si alimenta l’Amore, lo Spirito Santo che dà forza e coraggio. Come per Paolo che “predicava con coraggio nel nome di Gesù” nonostante l’avversione dei greci che tentavano di ucciderlo e degli ebrei che lo avevano conosciuto come accanito persecutore dei cristiani e non credevano nella sua conversione. Ma presto questa situazione di avversione si trasforma in appoggio e supporto dei fratelli uniti nella Chiesa nascente.

La Chiesa era in pace… si consolidava e camminava nel timore del Signore e, colma del conforto dello Spirito Santo cresceva di numero. La pace e la consolazione della Chiesa – e di ogni cristiano – non derivano dall’assenza di difficoltà e di persecuzioni, sempre presenti nella storia, ma sono il dono di Dio che ininterrottamente e fedelmente si fa presente con il Suo Spirito. Lo Spirito Santo, l’Amore comune del Padre e del Figlio, viene effuso su quanti, credendo e sperando in Gesù Cristo, hanno fissato la propria dimora in Dio per servire – con amore – tutti i fratelli di fede e di umanità.

Commento a cura: Prof.ssa Anna Maria del Prete