Dopo la sua risurrezione, Cristo ha trascorso un tempo – definito in quaranta giorni – nei quali è apparso ripetutamente ai discepoli. In questo tempo Gesù completa la sua missione di rivelatore del Padre e porta a compimento la sua azione di Maestro educatore della fede degli apostoli: li guida a comprendere il senso della sua vita terrena, della sua passione e morte e delle Sacre Scritture, mentre li prepara a ricevere il dono dello Spirito Santo nella Pentecoste, quando nascerà ufficialmente la Chiesa.
La frase che in questa terza domenica di Pasqua costituisce il centro del suo insegnamento è: “Cristo doveva patire e risorgere dai morti il terzo giorno”. Frase che Gesù rivolge ai suoi discepoli, riuniti nel Cenacolo che diverrà il fulcro del loro Kerigma (annuncio). Gli apostoli erano ancora sconvolti da questo fatto nuovo e rivoluzionario che si era verificato e che non erano capaci di vivere nonostante le Sacre Scritture lo avessero profetizzato e Gesù stesso lo avesse preannunciato.
Cristo risorto entra in questa realtà di dubbio e “stette in mezzo a loro” per condurli a “fare esperienza” di quell’evento che li aveva “sconvolti” e riempiti di paura.
Gesù viene incontro alla loro incredulità, conosce bene la fragilità dei suoi amici e li rassicura, li invita a toccare, guardare. “Solo attraverso i segni della passione si può raggiungere la pienezza della fede pasquale, cioè la fede nella risurrezione” (papa Francesco).
Era difficile per la prima comunità cristiana – e lo è tuttora – credere nel Risorto che porta sul suo corpo trasfigurato e luminoso i segni della crocifissione. Incredulità comprensibile perché nessun ragionamento riuscirà mai a cogliere la realtà di un uomo che è stato crocifisso ed ora parla. Solo un cuore illuminato dall’amore potrà riuscirvi.
E con questo amore Gesù spiega loro quel che aveva vissuto e che le Sacre Scritture avevano profetizzato: “Allora aprì loro la mente per comprendere le Scritture”.
Gli apostoli, stupiti, si trovano di fronte a un nuovo volto del loro Maestro, fanno esperienza di un Messia pieno di dolcezza, di misericordia e di tenerezza che – oggi – si rivela allo stesso modo a noi. Offre la possibilità di riprendere il contatto, già iscritto nel nostro cuore, a chiunque cerca di incontrarlo così come è: dolce e misericordioso.
Gesù sa che per vincere l’incredulità occorre “toccare”, contemplare nelle sue membra ferite l’amore di Dio. E questo è possibile perché sta in mezzo, come lo fu tra gli apostoli nel Cenacolo. Egli è con noi per aiutarci nella nostra incredulità.
Entrando nel vivo della contemplazione delle piaghe di Cristo Risorto, che oggi si manifesta a noi nell’annuncio della Sacra Scrittura, nella testimonianza della Chiesa e nel dono dell’Eucaristia, facciamo nostra l’invocazione che la liturgia ci propone nell’antifona al Vangelo: ”Signore Gesù, facci comprendere la Scritture; arde il nostro cuore mentre ci parli”. “Comprendere le Scritture” è avere la fede che è intelligenza non solo della mente, ma soprattutto del cuore che ci porta alla vera comprensione del mistero d’amore di Dio: “E’ il cuore che sente Dio…il cuore ha le sue ragioni, che la ragione non conosce affatto” (Pascal, Pensieri).
La “comprensione” delle Scritture ci aprirà ad una comunione intima di fede e di vita con il Risorto, che ci guiderà a vivere la “conversione e il perdono dei peccati”. Di questo saremo testimoni con una vita dono d’amore e di speranza.
Commento a cura: Prof.ssa Anna Maria del Prete