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Domenica delle Palme e della Passione del Signore

Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele

“Egli, che era senza peccato, accettò la passione per noi peccatori e, consegnandosi a un’ingiusta condanna, portò il peso dei nostri peccati. Con la sua morte lavò le nostre colpe e con la sua risurrezione ci acquistò la salvezza”. Così ci fa’ pregare il prefazio nella domenica che dà inizio alla Settimana Santa in cui la Chiesa celebra i misteri della salvezza portati a compimento da Cristo negli ultimi giorni della sua vita, a cominciare dal suo ingresso messianico in Gerusalemme, attraverso la passione, fino alla risurrezione. La celebrazione della domenica delle Palme unisce e mette in luce insieme i due aspetti del mistero pasquale, il trionfo regale di Cristo e l’annunzio della sua passione.

Ci avvieremo, infatti, verso la nostra Cattedrale in processione, portando i rami d’ulivo in segno di festa e di acclamazione per Gesù, nostro Re, proprio come la gente di Gerusalemme. Gesù, però, rifiuta gli applausi facili e diventa Re morendo per noi sulla croce. Perciò la Chiesa pone al vertice della liturgia della Parola la proclamazione della Passione del Signore, quest’anno secondo la stesura dell’evangelista Marco, che mette particolarmente in luce proprio la rinuncia di Gesù al suo potere di Signore. Egli non sceglie la via della ricchezza ma quella dell’umiltà, perché riconosce in essa la volontà del Padre, realizzando così le scritture.

La celebrazione della domenica delle Palme è strettamente legata ai successivi riti del Triduo Santo come un’unica commemorazione. Se quindi, oggi partecipiamo a questa celebrazione, nel portare a casa il ramoscello d’ulivo benedetto ricordiamoci che esso non è un talismano da usare contro possibili disgrazie ma il segno di un impegno serio e concreto per la nostra vita: vivere con la Chiesa la Passione e la morte di Gesù per condividere la sua Resurrezione.

Per la meditazione personale

Dai «Discorsi» di sant’Andrea di Creta, vescovo
(Disc. 9 sulle Palme; PG 97, 990-994)

Venite, e saliamo insieme sul monte degli Ulivi, e andiamo incontro a Cristo che oggi ritorna da Betània e si avvicina spontaneamente alla venerabile e beata passione, per compiere il mistero della nostra salvezza. Viene di sua spontanea volontà verso Gerusalemme. E’ disceso dal cielo, per farci salire con sé lassù «al di sopra di ogni principato e autorità, di ogni potenza e dominazione e di ogni altro nome che si possa nominare» (Ef 1, 21). Venne non per conquistare la gloria, non nello sfarzo e nella spettacolarità, «Non contenderà», dice, «né griderà, né si udrà sulle piazze la sua voce» (Mt 12, 19). Sarà mansueto e umile, ed entrerà con un vestito dimesso e in condizione di povertà. Corriamo anche noi insieme a colui che si affretta verso la passione, e imitiamo coloro che gli andarono incontro. Non però per stendere davanti a lui lungo il suo cammino rami d’olivo o di palme, tappeti o altre cose del genere, ma come per stendere in umile prostrazione e in profonda adorazione dinanzi ai suoi piedi le nostre persone. Accogliamo così il Verbo di Dio che si avanza e riceviamo in noi stessi quel Dio che nessun luogo può contenere. Egli, che è la mansuetudine stessa, gode di venire a noi mansueto.

Sale, per così dire, sopra il crepuscolo del nostro orgoglio, o meglio entra nell’ombra della nostra infinita bassezza, si fa nostro intimo, diventa uno di noi per sollevarci e ricondurci a sé. Egli salì verso oriente sopra i cieli dei cieli (cfr. Sal 67, 34) cioè al culmine della gloria e del suo trionfo divino, come principio e anticipazione della nostra condizione futura. Tuttavia non abbandona il genere umano perché lo ama, perché vuole sublimare con sé la natura umana, innalzandola dalle bassezze della terra verso la gloria. Stendiamo, dunque, umilmente innanzi a Cristo noi stessi, piuttosto che le tuniche o i rami inanimati e le verdi fronde che rallegrano gli occhi solo per poche ore e sono destinate a perdere, con la linfa, anche il loro verde. Stendiamo noi stessi rivestiti della sua grazia, o meglio, di tutto lui stesso poiché quanti siamo stati battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (cfr. Gal 3, 27) e prostriamoci ai suoi piedi come tuniche distese. Per il peccato eravamo prima rossi come scarlatto, poi in virtù del lavacro battesimale della salvezza, siamo arrivati al candore della lana per poter offrire al vincitore della morte non più semplici rami di palma, ma trofei di vittoria. Agitando i rami spirituali dell’anima, anche noi ogni giorno, assieme ai fanciulli, acclamiamo santamente: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il re d’Israele».
(testo tratto da: Liturgia delle Ore secondo il Rito Romano, vol. II)

A cura di: Antonio Battista – Jacopo Incollingo